Amava vivere in quella casa, una villetta indipendente in un
paese lontano dalla frenesia della città. Riconosceva come suo l'ambiente
naturale in cui era immersa, trovando piacere e conforto nell'incessante canto
degli uccelli che al mattino la svegliavano, iniziandola alla giornata con le
loro armonie sempre varie, o nel lento strisciare del vento che muoveva le
foglie voluminose del ciliegio.
Sin da piccola coglieva il significato nascosto in quella
vita appartata, idilliaca, in cui la natura e l'amore della sua famiglia costituivano
le solide fondamenta sopra le quali formare il suo spirito e la sua
personalità.
Non avrebbe saputo immaginare
un’esistenza diversa da quella, ma il futuro era per lei un grande calderone di
incertezze e interrogativi.
Si svegliava ogni mattina con
la convinzione fittizia che sarebbe stato sempre quello il suo unico risveglio.
Forse era paura, la
sua.
Paura del mondo
contaminato dalla falsità.
Conclusi gli anni
della scuola media, fu costretta a proseguire i suoi studi in città. Ogni
mattina, alle sette, partiva col padre per andare a scuola.
Ritratto di vita.
Il profumo di caffè latte appena fatto, la madre che spalanca le persiane e i
raggi del sole che inondano di luce ogni angolo della cameretta, disturbando i
suoi occhi affaticati dal sonno. Comincia un altro giorno. Emma si alza, si
veste, si lava e fa colazione. Suo padre è in macchina che la attende. Cartella
in spalla e si parte. Dal finestrino il suo sguardo curioso osserva i paesaggi
conosciuti: luci, colori, alberi, personaggi, sono sempre gli stessi, ma con un
giorno in più da sommare alla vita. C’è sempre la stessa vecchietta che attende
l’autobus sul ciglio della strada e c’è sempre il pensiero che “certo! sarebbe
meglio se mettessero delle panchine per le persone che aspettano”. Del resto la
vita è soprattutto attesa. Tanto vale stare comodi.
Anche la strada è
sempre la stessa, con le sue buche e i suoi dossi...e il rumore prevedibile dei
tombini calpestati dalle ruote che girano.
E girano.
Le persone sembrano
voler dimenticare quanto sia fragile la vita.
La verità è che un
uomo, un uomo qualsiasi, può spegnersi e affliggersi di fronte alla
quotidianità, all'incessante e circolare ripetersi di azioni ed emozioni, al
punto tale da svalutare lo stesso concetto di esistenza.
Alcuni ci riflettono,
altri se ne vogliono dimenticare. E certamente quest’ultimo atteggiamento non è
da biasimare, dal momento che tante menti geniali giunsero alla conclusione che
la mancanza di consapevolezza può esorcizzare l’infelicità. Un po’ come accade negli animali.
Elizabeth conosceva
bene queste filosofie, se ne appropriava e si perdeva nella loro
indeterminatezza.
Percorreva vie che il
reale avrebbe voluto precluderle.
Scrutava il mondo in
cerca di sé. Passeggiava per strada e osservava le case, e delle case osservava
le finestre, e tra tutte le finestre si soffermava su quelle con le luci
accese, mentre con la mente cercava di immaginare quale vita stesse animando
quelle stanze illuminate: quale famiglia stesse mangiando a tavola, quale donna
stesse aspettando che il suo uomo tornasse dal lavoro, quale nonna stesse
guardando le foto del suo defunto marito. In macchina si chiedeva dove
corressero, dove andassero sempre tutte quelle scatole a quattro ruote, quali e
quante vite trasportassero. E quando vedeva un autobus passare, il filo dei
suoi pensieri si intrecciava a tal punto che nemmeno lei riusciva a trovarne un
senso. Quante esistenze che si muovevano dentro un unico mezzo di trasporto,
quanti bambini andavano a scuola, quante madri a fare la spesa, quanti uomini a
lavoro e quanti giovani all'università, con il quaderno degli appunti in mano e
la tracolla sulla spalla. Cosa muoveva tutte quelle vite umane? Dove andavano,
cosa cercavano tutti, incessantemente? Cosa li spingeva a vivere consapevoli
dell’insensatezza di vivere?
Poi un uomo.
Seduto su una
panchina.
Un girasole in mano.
Arriva una donna.
Lo abbraccia.
Lo bacia.
Lui le porge il
girasole.
Lei sorride, lo prende
per mano.
Vanno via.
La luce dei lampioni
sembra illuminare i loro volti.
Lì, in quel preciso
istante… la vita scrive la sua più segreta poesia.
Andava a scuola
come tutti i ragazzi della sua età. Inseguiva sogni, come tutti. Amava, come
tutti.
E nel frattempo
sperava di riuscire un giorno a sfuggire dall'ombra opprimente dell’anonimato,
della mediocrità, dell’abitudine.
Così fuggì, fuggì
dal piccolo mondo in cui era nata e cresciuta.
Fuggì nella grande
città.
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